Ricordando il percorso di T. e di tutti i pazienti che hanno lasciato un po' della loro meraviglia dentro di me…
In questo periodo di grandi cambiamenti, inizi e nuovi equilibri nella mia vita personale e professionale, mi sono ritrovata a trasferire libri, scatoloni e vecchi archivi da uno studio all'altro, ed è proprio così che qualche pomeriggio fa mi è scivolata a terra da una vecchia cartella clinica la foto orgogliosamente fatta da una mamma, al tema di un mio meraviglioso pazientino.
Il tema di T., un bambino che nelle stanze di un ambulatorio di psicoterapia infantile ha condiviso con me diversi anni della sua vita diventando un ragazzino a dir poco formidabile.
In un attimo i ricordi hanno iniziato a scorrere veloci nella mia mente.
T. era un bambino al quale piaceva tanto la rabbia, il suo colore preferito era il rosso (perché
appunto “il colore della rabbia”) e quando disegnava gli piaceva calcare la matita tanto a volte da spuntarla. Un bimbo che della sua rabbia faceva la sua protezione, la protezione da un mondo non pronto a capirne le abilità.
T. era un bambino prezioso, ed il suo superpotere era quello dei sensi, un superpotere un po’ fastidioso in un mondo di caotici urlatori.
Il peggio di sé veniva dato a scuola, in classe o a mensa, con adulti che rimanevano stupiti quanto esasperati da comportamenti ai loro occhi incomprensibili. Ora chiedo a voi adulti, siete mai entrati in una scuola elementare? O meglio, siete mai entrati in una mensa di una scuola elementare?
Direi che per chi ha superpoteri come quelli di T. non è certo l'habitat più confortevole e beh, anche voi adulti composti e austeri, se lasciati ai vostri istinti potreste ritrovarvi a scaraventare qualche bel piatto di minestra.
T. era un bambino che noi "dottoroni" classificheremmo in una di quelle diagnosi che ad oggi si sente spesso, ma che qui non citerò perché la diagnosi è solo un'etichetta, che ci dice poco rispetto al colorato mondo interno di T.
Il suo quoziente intellettivo era altissimo, “di gran lunga superiore a molti dei suoi insegnanti” una volta mi disse sua mamma con un tono di esasperata ironia, ahimè dentro di me pensai che probabilmente avesse oggettivamente ragione.
T. era un dedito lettore di fumetti, un amante di Mahmood, un oratore delizioso con un’ottima propensione verso l’italiano perfetto, amante della scienza, con un’inglese quasi fluente. A volte gli piaceva osservare i cuscini, strofinarli con i suoi piccoli palmi per capirne la consistenza, ed alcune consistenze erano così soddisfacenti da convincere T. che era proprio il caso di portarsi dietro quel cuscino, perché no anche a casa. Conoscitore di dinosauri più di un paleontologo ed intenditore di coniglietti, avendone uno a casa tutto sapeva sulla perfetta cura di quell’esserino.
Eppure questi adulti, beh questi adulti, non riuscivano a vedere tutto questo perché risultava facilmente oscurato da un bel colore rosso! Il colore della sua rabbia.
Ovviamente T. non era arrabbiato con la sua rabbia che pure lo ostacolava nella sua vita sociale e nell’ottenere un pur minimo segno di apprezzamento. T. al contrario amava la sua rabbia, gli piaceva. Dopo i suoi sfoghi più violenti si sentiva bene, in pace, libero e finalmente, seppur in punizione nella sua camera, otteneva il suo amato silenzio.
C’è voluto un po' per lavorare sulle abilità di T., sull’accorgercene, sul metterci in ascolto e vedergli compiere meraviglie. Ci è voluto un po' per farsi raccontare il suo mondo perché ben custodito a doppia mandata. D’altronde, chi avrebbe mai potuto vedere tutto questo dietro uno scricciolo di magrezza e irritabilità?
La storia di T. è la storia di un bambino speciale, un bambino che è stato tra i miei primi bambini in psicoterapia, un bambino che settimana dopo settimana, mese dopo mese, anno dopo anno è riuscito a gestire la sua rabbia, è riuscito a fiorire come ragazzino equipaggiato per affrontare la vita.
La storia di T. è la storia di tanti giochi scaraventati e distrutti sul pavimento, di lacrime, di una mamma a volte incompresa che si è battuta per il suo bambino affinché venisse riconosciuto il suo diritto di essere seguito a dovere.
La storia di T. è la storia di un ragazzo, che scrive un tema su sé stesso. Un tema in cui spiega il dolore che avvertiva “nel suo cervello” di fronte al chiasso incomprensibile fatto da questi piccoli umani imprevedibili intorno a lui e del sollievo provato quando la sua rabbia allontanava tutti quei bambini mettendo tutto a tacere, in quei momenti di confortante punizione. Confortante a livello sensoriale, ma distruttiva a livello emotivo. Il bambino “composto dal 90% di rabbia” come si era disegnato una volta.
La storia che racconta T. in quel tema che mi è precipitato ai piedi poco fa, è la storia del suo lungo e sofferto lavoro sulle abilità sociali. Righe commuoventi e a tratti comiche in cui racconta di quella volta al parco in cui si era dondolato sull’altalena per mezz’ora di fianco ad una “bambina gentile” pensando che quello fosse fare amicizia, ma quando “Benny” in terapia gli chiese il nome della bambina si era accorto che non solo non avevano scambiato una parola, ma che non pensava servisse.
Ricordo come ieri il momento in cui con quei suoi occhioni nascosti da un paio di occhiali mi disse “perché … dovevo chiederglielo il nome?”. Quello fu uno dei suoi primi “click di consapevolezza” come li abbiamo definiti a posteriori.
La storia di T. è la storia di tanti bambini, che usano le emozioni distruttive come strumento per "funzionare". E' la storia di tanti genitori.
La storia di un po' tutti noi, quando andiamo in terapia per eliminare i nostri sintomi e scopriamo che quei sintomi non sono altro che comunicazioni che vanno ascoltate, non soppresse. E' la storia di tutti i pazienti che a volte non hanno altro modo per proteggersi che autosabotarsi, perché quell'autosabotaggio è tutto ciò che conoscono e che è familiare. E' la storia di tutti coloro che imparano "a mettersi in ascolto" per guarire dalle ferite interiori, per fiorire.
La storia di T. è la storia di una me, giovane terapeuta, che insegno ad un bambino ad amare sé stesso mentre lui mi insegna un mucchio di cose che faccio fatica a racchiudere in questo articolo.
Ebbene tutto questo mi è scorso davanti con quella foto, la faccia di una dolce mamma che mi mostra dal cellulare le immagini del tema del suo bambino diventato ormai grande e consapevole, quel bambino che ha insegnato agli insegnanti nuovi modi di insegnare.
Grazie T. ovunque tu sia, avrai sempre un posto speciale nei miei ricordi, così come tutti i miei pazienti che mi hanno lasciato un pezzetto della loro meraviglia per sempre.
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